Design for All e Accessibilità Informatica: Introduzione
Scheda n°: 147
Data ultima modifica: maggio 2012
Tipo di documento: Lezioni
Data ultima modifica: maggio 2012
Tipo di documento: Lezioni
Autore: Andrich R, Kercher P, Steffan I, Visciola M, Paternò F, Emiliani P
Dati editoriali: Seminari On Line Portale SIVA
Anno di pubblicazione: 2004
Abstract:
“Design for All”, “Universal Design”, “Inclusive Design”… termini sempre più ricorrenti oggi nel mondo della progettazione di spazi, ambienti prodotti, servizi, per indicare un’attenzione più ampia alle esigenze della popolazione che ne fruisce. Includendo quindi anche le persone che a causa dell’età avanzata o a seguito di malformazioni, patologie o eventi traumatici hanno delle limitazioni funzionali sul piano motorio, sensoriale o cognitivo. Se storicamente questi concetti sono nati nel mondo dell’architettura e del design industriale, nell’odierna società dell’informazione essi vanno necessariamente ad estendersi a prodotti e servizi basati su tecnologie informatiche. E’ recente ad esempio l’approvazione da parte del Parlamento italiano, sull’onda di quanto sta avvenendo in molti altri Paesi, di un’apposita legge (4/2004, popolarmente nota come “Legge Stanca” dal nome del Ministro dell’Innovazione che l’ha promossa) intitolata “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, che si propone appunto di prevenire l’insorgere di nuove barriere in una società sempre più basata su servizi di tipo informatico e telematico. Una legge che pur con i suoi limiti avrà senza dubbio grande impatto in favore dell’integrazione sociale, e che ha anche il merito di riproporre il “design for all” ad un dibattito culturale più ampio. Il “design for all”, più che un sistema di norme che come tale sarebbe sempre limitato, è infatti una cultura, di cui la società deve impadronirsi. L’incontro si propone, con il contributo interdisciplinare di vari specialisti, di ripercorrere alla luce di queste evoluzioni i concetti che stanno alla base di tale cultura, affinché le opportunità aperte da leggi come questa possano essere meglio comprese e sfruttate. Una cultura che, per (per dirla con l’ICF – il nuovo modello classificatorio della disabilità proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) lavori sui fattori contestuali ambientali.
“Design for All”, “Universal Design”, “Inclusive Design”… termini sempre più ricorrenti oggi nel mondo della progettazione di spazi, ambienti prodotti, servizi, per indicare un’attenzione più ampia alle esigenze della popolazione che ne fruisce. Includendo quindi anche le persone che a causa dell’età avanzata o a seguito di malformazioni, patologie o eventi traumatici hanno delle limitazioni funzionali sul piano motorio, sensoriale o cognitivo. Se storicamente questi concetti sono nati nel mondo dell’architettura e del design industriale, nell’odierna società dell’informazione essi vanno necessariamente ad estendersi a prodotti e servizi basati su tecnologie informatiche. E’ recente ad esempio l’approvazione da parte del Parlamento italiano, sull’onda di quanto sta avvenendo in molti altri Paesi, di un’apposita legge (4/2004, popolarmente nota come “Legge Stanca” dal nome del Ministro dell’Innovazione che l’ha promossa) intitolata “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, che si propone appunto di prevenire l’insorgere di nuove barriere in una società sempre più basata su servizi di tipo informatico e telematico. Una legge che pur con i suoi limiti avrà senza dubbio grande impatto in favore dell’integrazione sociale, e che ha anche il merito di riproporre il “design for all” ad un dibattito culturale più ampio. Il “design for all”, più che un sistema di norme che come tale sarebbe sempre limitato, è infatti una cultura, di cui la società deve impadronirsi. L’incontro si propone, con il contributo interdisciplinare di vari specialisti, di ripercorrere alla luce di queste evoluzioni i concetti che stanno alla base di tale cultura, affinché le opportunità aperte da leggi come questa possano essere meglio comprese e sfruttate. Una cultura che, per (per dirla con l’ICF – il nuovo modello classificatorio della disabilità proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) lavori sui fattori contestuali ambientali.